Ritratto di un nuovo mondo moderno.
Ricordo con molta chiarezza quando da ragazzino mi chiedevo chi sarei stato da grande, cosa avrei fatto, quale sarebbe stato il mondo in cui avrei vissuto. Ricordo che c’era un anno in particolare che avevo fissato nella mia mente, come un segnalibro inserito a casaccio tra le pagine di un romanzo che sarei stato costretto a leggere.
Si trattava del 2020. Questo anno mi affascinava in modo particolare, forse perché suonava molto futuristico e mi solleticava la fantasia, aiutandomi ad immaginare auto volanti e altre diavolerie tecnologiche. Ricordo che cercavo soprattutto di immaginarmi da “vecchio” e ormai “arrivato”, nel bene o nel male. Ci provavo in tutti i modi senza però riuscirci, perché per quanto mi sforzassi non potevo vedere oltre la cortina di nebbia che avvolgeva il tutto. Non ci riuscivo, così come ora non riesco a ricordare cosa significasse essere un ragazzino. Il passato, che è stato reale un tempo, ora non è che una fantasia tanto quanto lo era questo futuro. Passato e futuro esistono solo nella mia mente, l’unico ad esistere realmente al di fuori di me è il presente.
Già, il presente. Nel futuro che sognavo c’erano le cose più incredibili e assurde ma mai, neppure per un momento, mi sono avvicinato ad immaginare il nostro presente. Un presente che sta annichilendo le persone, in modo silenzioso, indolore, in modo lento ma inesorabile.
Sono spettatore di una società che, fino a qualche mese fa, esisteva solo nelle opere di George Orwell e Philip Dick. Una società fatta di una maggioranza di individui che dapprima ha rinunciato all’interazione fisica con i propri simili, preferendo una vita racchiusa nel palmo di una mano, per poi isolarsi del tutto nascondendosi in una mascherina. Una mascherina che non è piovuta dal cielo come una sorta di punizione divina, ma che è stata imposta dal nostro stile di vita, dalle nostre azioni attraverso le quali abbiamo stuprato e massacrato ambiente e animali.
Il mondo è cambiato velocemente, trascinandoci in un vortice dal quale non possiamo fuggire. Questa è la nostra grande guerra, questa è la nostra grande depressione. Abbiamo creato un sistema cinico e spietato che ci è sfuggito di mano, imprigionandoci al suo interno e abituandoci a qualsiasi trasformazione.
Non c’è più alcuna forma di espressione nella gente che incontro, a causa di occhiali, mascherine e guanti. Sono circondato da persone reali ma potrebbero trasformarsi all’istante in manichini e per me non farebbe alcuna differenza. Mentre mi muovo tra loro sento di non farne parte, sento che mi sto trasformando da spettatore a testimone. Sono un’ombra tra le persone, un fantasma che passa in mezzo a loro inosservato, catturando momenti fugaci apparentemente frivoli, ma che ai miei occhi risultano essere immagini indelebili di una società aliena.
Non ho viaggiato nel mondo per scovare condizioni di vita assurde da imprigionare nella mia reflex, non sono stato un fotografo di guerra che documenta una realtà impossibile da comprendere per chiunque non la viva in prima persona. Non è servito che lo facessi perché mi ritrovo a farlo ora, proprio qui, nella terra dove sono nato e dove vivo.
Dagli angoli più remoti della città fotografo momenti di ordinaria vita quotidiana, che di ordinario non ha nulla. Dal fondo dei vaporetti, ritraggo persone apparentemente inanimate. Non interagisco e mi limito ad osservarle. Per loro, e perfino per me stesso, sono solamente un riflesso su un vetro, nulla di più.
Documento quello che vedo, creando il ritratto di un nuovo mondo moderno.